Ansia e stress nella società della performance. Come riconoscere i sintomi e affrontare il disagio

Ansia e stress, negli ultimi decenni, sono divenute una costante della nostra quotidianità.  Senza che ce ne accorgessimo, si sono insinuate nelle nostre giornate, condizionando profondamente lla qualità della nostra vita.

Quante volte ti capita di svegliarti al mattino già con un nodo allo stomaco, il cuore che batte all’impazzata, senza un motivo apparente. Stranamente, anche se hai dormito le tue otto ore, ti senti stanco o stanca. La testa ti pesa, piena di pensieri.

La giornata non è nemmeno iniziata e tu vorresti già tornare a letto, o magari sparire per un po’.

“Quanto vorrei essere in vacanza”
Eppure ti alzi, ti vesti, fai colazione al volo ed esci. Funzioni. Vai avanti come se nulla fosse.
Perché sei abituato a farlo, come tutti.

Non è sempre facile riconoscere quei piccoli (o grandi) malesseri come segnali di uno stato di disagio.  Tendiamo a ripeterci che non c’è nulla di strano, fa parte della vita adulta.

Ci ripetiamo che è normale sentirsi così.

Dopotutto, quando sentiamo i nostri amici parlare delle loro giornate , sembra anche loro vivano secondo questo copione: sempre di corsa, stanchi, stressati, con l’agenda piena e la testa altrove.

La società della performance e i suoi effetti sulla psiche

Eppure, c’è qualcosa di profondamente disfunzionale in questa “nuova” normalità che ci tiene in uno stato di tensione costante, sempre stressati, sempre in ansia.

Ci hai mai fatto caso? Quando finalmente potresti rilassarti – una domenica, una serata libera, una pausa inaspettata – non riesci davvero a farlo. Ti senti irrequieto, colpevole, a disagio.

Purtroppo, la società in cui ci troviamo a vivere nella società della performance.

Il mondo là fuori sembra chiederci costantemente di essere efficienti, produttivi, impeccabili.

La pressione a performare, a essere sempre impeccabili e all’altezza, non è soltanto una questione individuale. Come sottolineano Maura Gancitano e Andrea Colamedici nel libro La società della performance, viviamo immersi in un sistema che trasforma ogni dimensione dell’esistenza in una vetrina, in uno spettacolo da offrire al giudizio altrui attraverso il flusso costante di immagini, video, pensieri che scorre sui social network.

Quel luogo magico dove tutti sembrano  felici, realizzati, in forma, sempre attivi e pieni di entusiasmo.
Il confronto è costante, anche se non ce ne rendiamo conto. Scorri la home di facebook, guardi il video di quel ragazzo giovanissimo che racconta di come guadagna anche quando dorme, leggi la caption ispirazionale sotto la foto perfetta di un’amica in viaggio… e senza accorgertene inizi a sentirti in difetto.
Ti sembra di non fare mai abbastanza. Di non essere mai abbastanza.

Non si è più, si appare.

Non c’è ambito che sfugga alla pressione del dover essere per forza perfetti.

Pensiamo al lavoro. Che si tratti di un impiego d’ufficio o della libera professione, ci si aspetta che siamo sempre disponibili e reattivi. Tutto sembra urgente, tutto richiede la nostra attenzione immediata, costringendoci a passare da un impegno all’altro in una corsa senza fine.

Bisogna rispondere subito alle email, rispettare scadenze serrate, raggiungere obiettivi, portare risultati. Non è solo il capo a pretenderlo.

Siamo noi stessi a non farci sconti.

In questa dimensione, non c’è spazio  per l’ascolto di sé.

In questo modo, come spiega sulle pagine del suo sito psicoterapiaromaprati.com il dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta perdiamo la possibilità di entrare in contatto con la nostra essenza più profonda, con il nostro mondo interiore. L’inattività, quel vuoto rigenerante che ci permette di rientrare in contatto con noi stessi non è contemplato.

È vista come una perdita di tempo, anziché come un nutrimento profondo per la mente e per l’anima.

Ma questo meccanismo logorante non è presente soltanto nell’ambito professionale.

Anche nella sfera delle relazioni, persino quelle più intime, dove dovrebbe regnare l’autenticità, la logica della performance ha fatto il suo ingresso, con effetti profondi sul nostro modo di vivere il rapporto con l’altro.

Siamo così ossessionati dal fare la cosa giusta, che dimentichiamo di essere noi stessi.

C’è poco spazio per il conflitto, per l’ambivalenza, per le emozioni scomode.

E il corpo?

Anche quello deve adeguarsi agli standard elevati dell’epoca contemporanea. Siamo costantemente bombardati da messaggi – pubblicitari, sociali, mediali – che ci dicono come dovremmo apparire cioè giovani, in forma, sani, belli.

Con buona pace della body positivity, che da movimento di liberazione dei corpi e delle identità si è trasformato in un trend a uso e consumo della moda e dei media.

Prendersi cura di sé, che in origine poteva essere un gesto di rispetto per i propri ritmi, è diventato troppo spesso un imperativo estetico. Si fa sport per modellare il corpo, si mangia sano per non ingrassare, si comprano creme e prodotti per cancellare i segni del tempo.

Ogni cedimento – una malattia, una stanchezza persistente, un aumento di peso, un calo di tono – viene vissuto come un fallimento da correggere in fretta.

Ma il corpo non mente.

E a un certo punto comincia a parlare più forte, attraverso sintomi che non si possono più ignorare: insonnia, palpitazioni, dolori muscolari cronici, affaticamento, disturbi gastrointestinali, cefalee, senso di oppressione al petto.

Molti di questi sintomi rientrano in ciò che chiamiamo disturbi psicosomatici, o segnali precoci di attacchi di panico o di stress acuto.

I sintomi corporei dell’ansia e dello stress. Un messaggio che spesso ignoriamo

In una cultura che ci spinge a dare il massimo e che non ammette l’errore o l’imperfezione, questi segnali di malessere profondo vengono spesso messi a tacere. Si tende a sottovalutarli, come abbiamo visto all’inizio. Oppure si preferisce ricorrere a soluzioni rapide come i farmaci.

Ma assumere un ansiolitico può produrre soltanto un sollievo momentaneo. La medicina, infatti, interviene sul sintomo, non sulla causa profonda del disagio.

Quel malessere viene sopito ma resta sotto soglia, pronto a riaffiorare.

In che modo?

L’ansia può manifestarsi inizialmente con una leggera irrequietezza. Il tuo corpo è in stato di allerta costante, anche se non sai dire bene il perché. Non c’è nulla di cui preoccuparsi… ma l’agitazione aumenta, riempie le tue notti di sonni agitati e risvegli improvvisi, ti toglie le energie, ti impedisce di concentrarti, ti rende più vulnerabile agli imprevisti.

A volte il respiro si fa corto, altre volte senti un nodo alla gola o un peso allo stomaco.
E quando tutto questo accade, ti dici che “è solo stress”.

Finché non arriva l’attacco di panico a mandare in pezzi le tue convinzioni.

L’allerta costante è anche un riflesso dello stress cronico che, come descritto anche in questo approfondimento della Harvard Medical School, attiva una risposta fisiologica continua, coinvolgendo il sistema nervoso autonomo. Quando questa condizione si protrae nel tempo, può generare conseguenze importanti sul piano fisico e psicologico.

Sintomi come quelli appena elencati non sono altro che messaggi.

Lo spiega bene il dottor Simone Ordine, psicologo e psicoterapeuta a Roma Prati nel suo articolo dedicato ai disturbi psicosomatici. Come evidenziato dal terapeuta, le malattie psicosomatiche non sono altro che il modo con cui mente e corpo lanciano segnali di avvertimento, invitandoci a prestare attenzione.

Anziché fuggire, però, come quando sentiamo scattare un allarme, dovremmo fermarci. Più che girarci dall’altra parte, facendo finta di niente, dovremmo piuttosto metterci in ascolto per cogliere il significato di quel messaggio.

Ansia e stress. Il ruolo curativo della psicoterapia

Soltanto attraverso un ascolto profondo e rispettoso potremo cogliere il senso autentico di quelle parole non dette che il corpo ci grida attraverso il dolore, la tensione, il blocco e tutti i sintomi classici dell’ansia o dello stress cronico.

La psicoterapia offre uno spazio in cui tutto questo può avvenire.

Si tratta di uno spazio sicuro in cui ci si può finalmente fermare e prendersi del tempo per guardare oltre la superficie e immergersi nel proprio mondo interiore, per ascoltare l’ansia, accettarla e comprendere che sta lì per indicarci di cosa abbiamo realmente bisogno.

Stiamo parlando di un vero e proprio atto di rottura con la logica della performance.
Nel qui e ora della relazione terapeutica, infatti, non devi dimostrare nulla: non serve essere brillante, produttivo, perfetto, accettabile. Puoi semplicemente essere te stesso,  con le tue contraddizioni, le tue domande e le tue fragilità.

E sentirti accolto, senza giudizio.

È un percorso di ascolto, dove si impara a fare pace con le proprie emozioni, con la propria storia, con il proprio ritmo.
Come approfondito in diverse pagine del sito Psicoterapia Roma Prati, ritrovare sé stessi significa sottrarsi, almeno per un momento, all’alienazione della vita quotidiana, e aprire uno spazio di autenticità dove la vita possa tornare a essere sentita, e non solo attraversata.

Finalmente, si può tornare a sentire le proprie emozioni senza filtri, riconoscendo la loro voce senza giudicarla, così che diventino una guida preziosa nel processo di trasformazione personale.